«Melina»

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di Anna Maria Falchi

Lungo il sentiero che dal Borro di San Giorgio sale verso il poggio, si incontrano ruderi di antiche case coloniche. Dopo decenni di incuria e di abbandono, una coppia di Firenze decise di acquistarne una e di ristrutturarla.
«Non voglio che mio figlio nasca tra il raccordo autostradale e la pista di Peretola» ridevano insieme, mentre i lavori procedevano.

Vivere in un posto simile era ciò che avevano sempre desiderato, oltre al figlio che però tardava ad arrivare. Tentarono varie terapie, la fecondazione assistita e altre torture ormonali, ma non c’era proprio niente da fare.
«Quando vi sarete sistemati con la casa, vi metterete l’animo in pace e il figlio arriverà», li rassicurava il medico. «Siete giovani e sani, non abbiate timore».

Ma gli anni passavano, i lavori erano finiti da tempo, il vitigno intorno alla casa regalava i primi raccolti e il frutteto si arricchiva di nuovi meli, la pianta preferita dai due sposi, sui quali nascevano mele succosissime.
La donna, ormai in là con gli anni, si consolava della mancanza di un bambino curando le piante e mangiando mele a più non posso. Il succo dolce dei frutti cancellava i brutti pensieri e la poveretta passava da un albero all’altro staccando dai rami i pomi più grossi e colorati. Un giorno ne mangiò così tanti che la pancia si gonfiò tutta, tanto da levarle il respiro. Il marito la aiutò a rientrare in casa perché la poveretta non riusciva nemmeno a camminare. La pancia faceva paura, pareva sul punto di scoppiare da un momento all’altro. «Ma che combini, moglie mia? Guarda che panciona ti è venuta a furia di mangiar mele. Prima o poi te le secco tutte quelle piante, così l’abbozzi una buona volta.»

«No ti prego, non lo fare, ma non lo vedi quanto sono belle, e poi son tanto dolci, come la bimba che ho sempre desiderato e che ormai non arriverà più. Vien via, lasciami fare, che solo quando mangio le mele mi torna il buonumore.»
Era già successo altre volte, ma quella sera la pancia tardava a sgonfiarsi. Il marito preparò per lei una tisana calda a base di finocchio, miele e zenzero, le fece anche dei bei massaggi ma niente, la pancia restava gonfia e tesa, sembrava una mela gigantesca.

«Chiamerò il dottore, lui saprà cosa fare» si arrese infine il poveretto.
Il dottore arrivò dopo un paio d’ore. Raggiunse il casolare con qualche difficoltà, per via della strada dissestata. La donna era sdraiata sul letto e gemeva, il dolore alla pancia era diventato insopportabile, si girava e si rigirava tra le lenzuola senza trovare pace. Quando infine riuscì a visitarla, il vecchio medico rimase senza parole.
«Non capisco» sospirò, mentre riponeva gli strumenti nella borsa. «Se non sapessi per certo che non aspettate un bambino, direi che i sintomi sono proprio quelli di una partoriente». La donna lo guardò perplessa e per un attimo smise di lamentarsi, il marito invece scoppiò in una sonora risata.
«Ma cosa dite, dottore? Mia moglie non è più in età di aver figli, e voi lo sapete bene. Le avete anche prescritto quelle pillole per le caldane, che ve lo ricordate?»
«Eppure», rispose l’uomo grattandosi il capo «i sintomi sono proprio quelli. Vostra moglie ha le contrazioni. Accompagniamola subito all’ospedale, alla sua età partorire senza ostetrica è un rischio bello grosso. Alla maternità di Ponte a Niccheri sarà seguita a dovere.» Quando raggiunse l’ospedale, il travaglio era iniziato e la portarono d’urgenza in sala parto. «Vedo la testina!» esclamò il medico, allungando il collo oltre il pancione per farsi vedere da lei, «Ha i capelli rossi.»
«Suvvia, ancora una spinta e ci siamo…» la incitò l’ostetrica.
Accompagnato da un liquido trasparente e profumato, d’improvviso rotolò tra le mani del dottore una rotonda e lucida mela rossa. Il medico sbiancò e lasciò cadere il frutto sul lettino, le infermiere si allontanarono disgustate, l’ostetrica si accasciò priva di sensi sulla sedia a rotelle: nessuno osava avvicinarsi a quella cosa che ora luccicava tra le lenzuola ruvide. La partoriente invece si sollevò sui gomiti per guardare, e quando vide la mela si abbandonò soddisfatta sul letto. Neanche il marito sembrava sorpreso e anzi strappò l’asciugamano dalle mani di un’infermiera e lo avvolse attorno alla mela rossa, la asciugò per bene, sfiorò la buccia con un dito e poi la adagiò sul seno morbido della moglie che continuava a sorridere esausta, ma felice.

«Quanto è bella, marito mio, è liscia e profumata come una pesca, anche se pare tutta una mela.»
Sotto lo sguardo sbigottito del medico, dell’ostetrica e delle infermiere, i nuovi genitori si scambiarono baci e carezze e continuarono a coccolare il frutto del loro amore.

Dopo essersi ripreso da un primo momento di comprensibile confusione, il ginecologo parlò con il medico di famiglia e consigliò per la coppia una bella visita psichiatrica.
«Non so e non voglio sapere come la mela sia finita nel grembo di quella donna, ma portatemeli via prima che chiami i Carabinieri e vi faccia rinchiudere tutti e tre» urlò, quando il poveretto, incredulo come lui, cercò di spiegare l’accaduto.

Il medico di famiglia guidò fino a casa, ma li lasciò sull’uscio e se ne andò senza neanche salutare. Non si capacitava ancora di quanto era accaduto quella notte e, quasi certamente, non se ne sarebbe mai fatto una ragione nemmeno negli anni a venire.
«La chiameremo Melina» sospirò lei, stringendo al petto la piccola mela.

La adagiarono in una scatola da scarpe imbottita di lana e la sistemarono al centro del letto, ma non riuscirono a chiudere occhio e trascorsero l’intera notte a rimirarla.
Nelle settimane che seguirono, Melina cresceva e diventava sempre più rossa e bella. I genitori la adoravano, ogni mattina lucidavano la buccia fino a farla brillare, cambiavano la posizione nel lettino affinché non si sciupasse, davano aria e luce alla stanza, perché Melina crescesse sana e profumata.

Trascorsero gli anni, la mela era cresciuta moltissimo e occupava quasi tutto il letto che il padre aveva preparato per lei. I genitori la adoravano e coglievano ogni pretesto per salire nella sua camera a lavarla e a lucidarla fino a farla brillare.
«Quanto è bella la nostra Melina» sospirava la mamma.

«Peccato non possa andare a scuola» rispondeva il padre […]

Il racconto di Anna Maria Falchi, ispirato a “La ragazza mela”, è contenuto in «Storie crudeli – le novelle toscane, oggi»… scaricalo ora in ebook!